Parigi, Opéra Bastille, “Luisa Miller” di Giuseppe Verdi
UNA LUISA NAIF
A Parigi è andata in scena, dopo una lunga assenza, Luisa Miller, un'opera giovanile non troppo frequentata e di “transizione“, ma che offre, oltre a momenti di grande bellezza musicale, spunti tematici delle opere più mature; la “ novità” di Luisa Miller infatti, più che sul piano del linguaggio stilistico – musicale, è proprio nei contenuti. La fine dell’entusiasmo risorgimentale spinge Verdi ad abbandonare argomenti storici ed epopee popolari per perseguire un registro più intimista e raccolto: semplicità e verità colti nell’approfondimento della psicologia individuale, degli affetti privati e dei rapporti fra i personaggi inseriti in un affresco sociale che denuncia l’ipocrisia del tempo e dell’ordine stabilito, anticipando quell’attenzione “all’ambiente“ che sarà poi sviluppata in Traviata. Verdi riattualizza il dramma borghese “Kabale und Liebe” di Schiller per fare un ritratto dell’ingenuità giovanile inutilmente sacrificata in un ambiente corrotto e opprimente.
La nuova produzione di Gilbert Deflo, regista allievo di Visconti e Strehler, è tradizionale e non ha idee brillanti, ma è proprio per la sua essenzialità - per non dire naïvité – e fedeltà a quanto espresso dalla musica che funziona. Sembra uno sceneggiato di altri tempi, come suggerisce il titolo dell’opera a caratteri gotici proiettato in bianco e nero sul sipario mentre la musica dell’ouverture incalza sotto i titoli di testa di un mélo a episodi dai titoli romanzeschi: “l’amore”, “l’intrigo”, “il veleno”.
La scena dai colori pastello di squisita fattura di William Orlandi è suggestivamente inquadrata da un arco nero con un effetto “boule de neige“ che mette in rilievo l’azione e contribuisce a situarla fuori dal tempo.
Attraverso la cornice arrotondata si offre alla vista un paesaggio di grande apertura e profondità dai rilievi ondulati coperti da un verde tappeto erboso, il gusto del particolare e della luce rimanda ai romantici paesaggi di Caspar David Friedrich, ma in questo Tirolo da idillio ci sono forti echi di Heidi e Sissi. Il paesaggio alpino dello sfondo è sempre presente e si insinua negli interni, in una suggestiva commistione interno/esterno che accentua il senso di una natura panica e dominante. In primo piano, una chiesetta all’aperto sulla sommità di un alpeggio (per mettere in rilievo la componente mistico-religiosa che aleggia intorno a Luisa ) si alterna alla buia sala del castello caratterizzata da gigantesche arcate neogotiche opprimenti come il potere paterno e feudale esercitato dal Conte. Le belle luci di Joël Hourbeigt scandiscono i momenti della giornata (dall’aurora alla mezzanotte ) in cui si consuma il dramma e sono particolarmente efficaci per rendere la progressione dall’idillio alla tragedia nel rispetto dell’unità di tempo.
Ana Maria Martinez è una Luisa che emana naturale innocenza e freschezza e fa emergere, se pur con pudore, i moti di un’anima romantica. La voce lirica e delicata rispetta i cambi di registro previsti dal ruolo, ma non è sufficientemente corposa e non convince completamente né nella parte drammatica né in quella belcantista. Ramon Vargas, particolarmente apprezzato nel ruolo di Rodolfo, è stato sostituito all’ultimo - con forte disappunto del pubblico - da Evan Bowers. La voce del tenore americano è leggera e musicale (anche se piuttosto ingolata), ma la dizione imperfetta e il timbro povero di chiaroscuri non danno il giusto risalto al personaggio e anche la celeberrima “Quando le sere al placido” scivola via quasi inosservata. Andrezej Dobber si è distinto nel ruolo di Miller per la voce morbida e sonora e ha contribuito a rendere efficace anche da un punto di vista drammatico il duetto con la figlia “Andrem raminghi e soli” evitando il rischio della cantilena stucchevole. Ben sottolinea luci e ombre del vecchio e “ruvido” soldato, padre tenero e possessivo, carnefice suo malgrado del destino dell’amata figlia. Giorgio Surian ha sostituito l’indisposto Ildar Abdrazakov delineando un Conte di Walter aristocratico e tirannico di cui si percepisce oltre l’apparenza proterva una grande debolezza. La linea vocale non è più salda come un tempo, ma viene compensata dal giusto accento e da una forte presenza scenica. Di buon spessore drammatico e bella voce profonda il Wurm calvo e inquietante del giovane Kwangchoul Youn, personaggio machiavellico e crudele che in questa regia acquisisce particolare rilievo. La Federica di Maria José Montiel convince per il bel timbro luminoso, ma il personaggio risulta piuttosto anonimo.
Massimo Zanetti ha diretto con energia la partitura verdiana offrendo una lettura dinamica dai ritmi sostenuti nel rispetto del dramma. La musica scorre fluida come in un film, il direttore varia colori, tempi e sonorità e ricrea le giuste atmosfere assecondato da un’ orchestra leggera. Ottima prova per il coro, intonato e partecipe, preparato da Alessandro di Stefano.
Alla fine calorosi applausi per tutti grazie al fascino discreto di uno spettacolo di buona tradizione, delicato e naïf come Luisa.
Visto a Parigi, Opéra Bastille, il 2/03/08
Ilaria Bellini
Teatro